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IL MIO KOBE

  • Immagine del redattore: Admin
    Admin
  • 22 apr 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

È trascorso molto tempo dal tragico incidente del 26 gennaio. Una data che ricorderemo per sempre, purtroppo in negativo. Ho provato diverse volte a scrivere il mio ricordo per Kobe, ma sarò sincero, non ci sono mai riuscito. Trasformare emozioni e sentimenti in parole non è mai semplice, ma stavolta penso che questi sentimenti siano comuni a molti di noi, perciò ci proverò: voglio partire proprio da quella data, ricordo benissimo tutta la giornata. Era una domenica normalissima, l’avevo passata con i miei fuori a pranzo. Con i miei amici poi avevamo già programmato la serata, ma prima decisi di mettermi a studiare un po'. Fino a sera non avevo avuto contatti con nessuno, ma ad un certo punto il telefono inizia a squillare, e mi trovo sommerso da messaggi del tipo: - “Enzo, ma è vero?” - “Enzo, ti prego dimmi che è una fake news!” L’ultimo non l’avevo neanche aperto, ma l’anteprima terminava con scritto: - “… ma quindi Kobe è…” Non ho mai provato una sensazione simile, perché nel mezzo della tranquillità più totale mi iniziai a rendere conto che da lì a poco la mia vita sarebbe cambiata. Ma dovevo averne la certezza. Iniziai a cercare, e purtroppo mi resi subito conto che era tutto vero. In quell’esatto momento iniziarono a scendere le prime timide lacrime, le gambe tremavano. Mi chiama papà. Sapevo già cosa voleva dirmi, perciò non risposi. Andai direttamente da lui in cucina e mi disse semplicemente: “è morto…”.

Io chinai il capo per non mostrare quanto fosse logorante lo sconforto di quel momento, che lasciò spazio solo a un timido “purtroppo sì”. Papà sapeva benissimo quanto contasse Bryant per me, e fu delicatissimo, cercò in tutti i modi di tirarmi su di morale. Qualcuno a questo punto potrà dire: “ma stiamo parlando solo di un giocatore…”. Ma per noi, che siamo cresciuti con lui, che a lui ci siamo tanto ispirati, non potrà mai essere così. Non potremo mai considerare Kobe “uno come gli altri”. Perché per chi è nato negli anni ’90, come me, e non solo, c’è prima Kobe e poi tutti gli altri. Per questo motivo ho deciso di scrivere questa lettera, per far capire che Kobe è stato e sempre sarà uno dei più grandi di sempre, e non solo in ambito sportivo. Il titolo però è “Il mio Kobe”, e ancora non ve ne ho parlato in effetti, quindi credo sia il momento di farlo. Ho iniziato a giocare a basket all’età di 3 anni circa, e causa palinsesto, per i primi anni ho seguito soltanto basket italiano. All’età di circa 7 anni però, ho scoperto la NBA, e subito mi sono innamorato di un giocatore, sia chiaro, un giocatore ben preciso, non una squadra. Quel giocatore vestiva la numero 8 gialloviola e aveva già vinto due titoli NBA. Tuttavia il 2002 non fu un anno semplice per i Lakers, specialmente quando affrontarono i Sacramento Kings in Finale di Conference. Scendevo a giocare al canestrino sotto casa con mio cugino e parlavo di quella serie, e dopo Gara 5 mi disse: “Kobe ha sbagliato il tiro della vittoria, hanno vinto i Kings”. Io non ci credevo, gli dicevo che forse si sbagliava (spoiler: sbagliò davvero il tiro della vittoria). Ero sicuro di una cosa, però, i Lakers quella serie l’avrebbero ribaltata e vinta, e infatti sotto casa cercavo di anticipare Gara 6 e Gara 7 facendo da solo la telecronaca delle partite. I Lakers vinsero serie e titolo, in Gara 6 Kobe mise 31 con 11 rimbalzi e 5 assist, mentre in Gara 7 30 con 10 rimbalzi e 7 assist. Notai che quel giocatore aveva qualcosa di speciale, e non poteva essere fermato. Il 2004 poi, l’ultimo capitolo di quei Lakers. Quando iniziai le giovanili vedevo tutti i miei compagni fare a pugni per il 23 di MJ, mentre io volevo solo il numero di Kobe, tanto ai tempi dell'8 quanto del 24. Per molti anni i Lakers hanno avuto una squadra pressoché imbarazzante, ma io cercavo di vedere tutte le loro partite solo per vederlo giocare, tanto che nella serie contro i Suns mi ha fatto letteralmente piangere, non avevo mai visto nulla del genere, ormai “incollato” alla televisione per vedere ogni singola partita. Nel 2008 i Lakers tornarono in finale, contro i Celtics, probabilmente una delle squadre più complete di sempre. Facevo il tifo per Kobe, e quindi per la sua squadra, ma purtroppo temevo già, come in occasione delle Finals con i Pistons, come sarebbe finita: come disse anche l’Avvocato, Kobe era veramente “da solo sull’isola”, ma 25.7 punti e 5.0 assist non potevano bastare contro la squadra più forte della Lega. Aspettavo, però, una sorta di redenzione da parte sua. Doveva dimostrare di poter vincere anche senza Shaq. E qui un altro flashback: amavo quella coppia: tanto che, quando Shaq andò via, seppur con buone ragioni, strappai tutte le loro foto insieme, quasi come se si fosse sciolto un matrimonio. Il 2009 invece era chiaramente l’anno dei Lakers, i Magic avevano il miglior Howard di sempre, ma non potevano competere. Prima dell’inizio della serie ero già pronto a festeggiare. E infatti i Lakers vinsero quella serie in 5 partite, con Kobe autore di 32.4 punti, 7.4 assist e 5.6 rimbalzi di media. La vera sfida, però, sarebbe stata quella dell’anno successivo. La finale perfetta era finalmente servita: Lakers - Celtics. Questa volta i gialloviola erano i favoriti, per via anche del fattore campo. Ma i Celtics quando affrontano i Lakers riescono sempre a dare il meglio, e lo fecero anche in quell’occasione. Boston riuscì a limitare il 24, ma questa volta furono i vari Fisher, Gasol, Odom, Bynum e Artest a risultare determinanti. Bryant chiuse quella serie con 28.6 punti e 8.0 rimbalzi, tirando, però, con il 40.5% dal campo. Quinto titolo, ultimo di sempre per Kobe, e ad oggi ultimo per i Lakers. Tra infortuni e movimenti di mercato sbagliati in casa Lakers, Kobe e i gialloviola non lottarono più per qualcosa di importante. Ma Bryant aveva in mente di chiudere la carriera in grande, infatti come ben sapete, nella gara d’addio il “Black Mamba” chiuse la partita con 60 punti, guidando i Lakers alla vittoria. Avevo capito una cosa quella notte, ormai mattina qui in Italia: anche una volta ritirato Kobe sarebbe stato sempre presente. E qui mi ricollego al terribile 26 gennaio, e mi rendo conto del vero significato della frase "rimarrà sempre vivo nel cuore di tutti noi" perché oggi, nel guardare le sue partite, le sue interviste o i suoi video, mi rendo conto che è come se fosse ancora qui con noi. Fatico persino ad usare i verbi al passato, parlando di lui. La sua scomparsa ha però evidenziato quanto l'amore e la stima nei suoi confronti ci abbiano uniti e spinti a confortarci come fossimo tutti una grande famiglia: anche per questo motivo non potrà mai essere considerato "un giocatore come gli altri" ma una persona che ha cambiato la nostra vita in meglio per sempre.

Grazie di tutto Kobe


Vincenzo Ruggiero

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